Anfora Faenza, 1560 ca. Maiolica Altezza totale cm 52. Lacune alle anse e piede rifatto in ceramica Provenienza: collezione privata Anfora di foggia molto armoniosa con ampio corpo ovoidale, poggiante su alto piede, rifatto fino al colletto; dalla spalla si sviluppa verticalmente un collo ampio e a bocca estroflessa, si cui lati sono saldati i manici, che sono serpentiformi e con lattacco inferiore poggiante su un mascherone a rilievo, applicato a metà circa del corpo dellanfora. Su una delle due facce è istoriato un episodio di storia antica e sullaltra uno stemma sorretto ai lati da due figure allegoriche. Dipinta in arancio, giallo e azzurro. Questa tipologia di grande anfora fu prodotta dalle più prestigiose botteghe di Faenza, come la Calamelli e la Bettisi1, ma in numero ridotto un po perché solo da pompa e un po per limpegno tecnici dovuto alla sua struttura a corpo ampio, aggregato ad un piede piuttosto piccolo e a stretto colletto, come le affini realizzazioni in metallo. Sicuramente dedotte da uno specifico modello incisorio sono le parti istoriate di questopera, distribuite a campo libero su larga parte del ventre. Nel caso della complessa scena istoriata, cè chi ha suggerito si tratti del Giudizio di Salomone, ma i personaggi, visti gli abiti, orientano piuttosto verso i protagonisti di un fatto di storia romana. Aggiungiamo dunque che possa trattarsi di Soemo, re di Armenia, Sophene e Gordyene, qui a lato sinistro della composizione, che con la moglie e il figlio, raffigurati al centro, chiedono allimperatore Lucio Vero la restituzione del trono: interpretazione iconografia che trova appoggio in unincisione di Piranesi tratta da un particolare dellarco di trionfo dello stesso imperatore.Tuttavia crediamo non sia neppure da escludere che possa trattarsi di un episodio della vita di Coriolano (LIVIO, Ab Urbe condita, II, 40), piuttosto evocata sulla maiolica italiana istoriata, faentina compresa, con il comandante romano che, animato da risentimento verso Roma, accampatosi alle porte della città la vuole attaccare, unito ai Volsci con cui si era alleato: è soggetto replicatamente richiamato sullistoriato italiano, sia faentino sia urbinate, in cui si predilige illustrare soprattutto il momento toccante in cui la madre Veturia e la moglie Volumnia, che gli porge uno dei figli, lo implorano di risparmiare la città. La scena, di squisita fattura pittorica, è frutto dellabile mano di uno dei maestri, meno fortunati rispetto ai capi bottega per i quali lavoravano, forsanche in maniera occasionale o episodica, perché il loro prezioso contributo artistico per ora è anonimo. Sono personalità che manifestano notevole esperienza pittorica e dotate di ampi orizzonti culturali, specie nella conoscenza delle fonti iconografiche bibliche e profane più in voga, che le portano al superamento dello standard del repertorio decorativo dei vasellami bianchi non istoriati, quelli con singole figurine allegoriche, un puttino, un soldato ecc. Stilisticamente le figure dalle forme espanse mostrano notevole consonanza con il manierismo di Romanino Cimatti (i profili delle matrone e le anatomie delle gambe), che nella bottega di Francesco Mezzarisa a Faenza, data 1556 un grande al albarello3, oggi al Bargello: qui però esse sono alleggerite da una gamma cromatica tenue in cui domina lazzurro diluito, accuratamente dosato nelle velature, disposte allinterno del disegno, dotato di particolare scioltezza e sottigliezza dei contorni. Oltre allalbarello del Cimatti, fondamentali per circoscrivere la datazione di questopera sono unanfora in raccolta privata, con Tuccia e Cesare incorona Pompeo, del 1558, e un piatto con la battaglia del Metauro, datato 1569, del Museo di San Mar tino di Genova2. Non meno interessante è laltra faccia sui cui campeggia uno stemma (c), che ipotizziamo essere, almeno nelle componenti figurate, quello della famiglia istriana Calucci di Rovigno, senza escludere neppure quello di al
Anfora Faenza, 1560 ca. Maiolica Altezza totale cm 52. Lacune alle anse e piede rifatto in ceramica Provenienza: collezione privata Anfora di foggia molto armoniosa con ampio corpo ovoidale, poggiante su alto piede, rifatto fino al colletto; dalla spalla si sviluppa verticalmente un collo ampio e a bocca estroflessa, si cui lati sono saldati i manici, che sono serpentiformi e con lattacco inferiore poggiante su un mascherone a rilievo, applicato a metà circa del corpo dellanfora. Su una delle due facce è istoriato un episodio di storia antica e sullaltra uno stemma sorretto ai lati da due figure allegoriche. Dipinta in arancio, giallo e azzurro. Questa tipologia di grande anfora fu prodotta dalle più prestigiose botteghe di Faenza, come la Calamelli e la Bettisi1, ma in numero ridotto un po perché solo da pompa e un po per limpegno tecnici dovuto alla sua struttura a corpo ampio, aggregato ad un piede piuttosto piccolo e a stretto colletto, come le affini realizzazioni in metallo. Sicuramente dedotte da uno specifico modello incisorio sono le parti istoriate di questopera, distribuite a campo libero su larga parte del ventre. Nel caso della complessa scena istoriata, cè chi ha suggerito si tratti del Giudizio di Salomone, ma i personaggi, visti gli abiti, orientano piuttosto verso i protagonisti di un fatto di storia romana. Aggiungiamo dunque che possa trattarsi di Soemo, re di Armenia, Sophene e Gordyene, qui a lato sinistro della composizione, che con la moglie e il figlio, raffigurati al centro, chiedono allimperatore Lucio Vero la restituzione del trono: interpretazione iconografia che trova appoggio in unincisione di Piranesi tratta da un particolare dellarco di trionfo dello stesso imperatore.Tuttavia crediamo non sia neppure da escludere che possa trattarsi di un episodio della vita di Coriolano (LIVIO, Ab Urbe condita, II, 40), piuttosto evocata sulla maiolica italiana istoriata, faentina compresa, con il comandante romano che, animato da risentimento verso Roma, accampatosi alle porte della città la vuole attaccare, unito ai Volsci con cui si era alleato: è soggetto replicatamente richiamato sullistoriato italiano, sia faentino sia urbinate, in cui si predilige illustrare soprattutto il momento toccante in cui la madre Veturia e la moglie Volumnia, che gli porge uno dei figli, lo implorano di risparmiare la città. La scena, di squisita fattura pittorica, è frutto dellabile mano di uno dei maestri, meno fortunati rispetto ai capi bottega per i quali lavoravano, forsanche in maniera occasionale o episodica, perché il loro prezioso contributo artistico per ora è anonimo. Sono personalità che manifestano notevole esperienza pittorica e dotate di ampi orizzonti culturali, specie nella conoscenza delle fonti iconografiche bibliche e profane più in voga, che le portano al superamento dello standard del repertorio decorativo dei vasellami bianchi non istoriati, quelli con singole figurine allegoriche, un puttino, un soldato ecc. Stilisticamente le figure dalle forme espanse mostrano notevole consonanza con il manierismo di Romanino Cimatti (i profili delle matrone e le anatomie delle gambe), che nella bottega di Francesco Mezzarisa a Faenza, data 1556 un grande al albarello3, oggi al Bargello: qui però esse sono alleggerite da una gamma cromatica tenue in cui domina lazzurro diluito, accuratamente dosato nelle velature, disposte allinterno del disegno, dotato di particolare scioltezza e sottigliezza dei contorni. Oltre allalbarello del Cimatti, fondamentali per circoscrivere la datazione di questopera sono unanfora in raccolta privata, con Tuccia e Cesare incorona Pompeo, del 1558, e un piatto con la battaglia del Metauro, datato 1569, del Museo di San Mar tino di Genova2. Non meno interessante è laltra faccia sui cui campeggia uno stemma (c), che ipotizziamo essere, almeno nelle componenti figurate, quello della famiglia istriana Calucci di Rovigno, senza escludere neppure quello di al
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