Piatto Deruta, bottega di Giacomo Mancini (detto El Frate), prima metà del sec. XVI Maiolica Diametro cm 41 Una rottura e una incrinatura Provenienza: collezione privata Si tratta di un grande piatto da pompa, con ampio cavetto, larga tesa ad orlo rilevato e profilato; il piede è ad anello. Al centro del cavetto, campeggia la figura di un cavaliere, che avanza al galoppo verso destra, armato di spada e scudo; due cartigli ai lati del personaggio portano la legenda, divisa in due parti, IO SO ERE CA e RLO MANGNIO, su uno sfondo che ospita anche piccoli fiori; sulla tesa si dispone una de- corazione ad embricazioni, che racchiudono dei trifogli. Il verso è invetriato. Dipinto in blu e lustro dorato. Siamo di fronte ad uno straordinario saggio della maiolica a lustro prodotto a Deruta, uno di quelli che nascono sullo stimolo culturale non solo della grande pittura umbra, ma anche della circolazione delle stampe in fogli sciolti. In particolare nellambito della bottega di Giacomo Mancini fecero presa queste potenti ed esuberanti figure così lontane dai modelli raffaelleschi allora in auge, e pertanto lo sguardo dei pittori maiolicari si posava sia sugli episodi dellepopea cavalleresca, attinti preferibilmente dalle vignette silografiche che corredavano ledizione veneziana dell Orlando Furioso, stampata presso Giolito de Ferrari nel 1542, sia su singoli personaggi. So- prattutto ebbe fortuna la serie dei Nove Prodi, cioè dei più nobili eroi delle tre ere della storia della salvezza indicate da Agostino, tra cui ap- punto Carlo Magno, ma anche, ad esempio, Re Giuda Maccabeo, protagonista di un altro piatto derutese a lustro, del Museo di Faenza1. Questi eroi cavallereschi potevano essere trascritti guardando, ad esempio, fogli tedeschi volanti tirati da antichi legni, secondo alcuni addirittura della fine del 400, che andavano a decorare i pannelli lignei delle pareti e delle ante dei mobili, o ispiravano i soggetti delle stufe di ambito oltremontano; modelli che passarono in riciclo alle stamperie veneziane, ferraresi, milanesi e modenesi, e da questultime sino a quella dei Soliani2, che dal 600 continuò a tirare dalle stesse matrici fino a oltre la metà dell 800. La trascrizione maiolicata è sorprendentemente fedele al modello grafico, del quale tiene conto anche degli emblemi sulle gualdrappe del cavallo e sullo scudo, cioè laquila del Sacro Romano Impero e il giglio, simbolo della regalità di Carlo Magno. Una straordinaria licenza del maiolicaro è invece il dettaglio degli zoccoli delle zampe posteriori dellanimale che, in modo molto originale, escono dal cavetto andando a calcare una par te delle embricazioni. 1 RAVANELLI GUIDOTTI 1988, fig. 45. 2 TOSCHI 1984, fig. 37; Legni incisi della Galleria Estense 1986, p. 9. Bibliografia Lopera è pubblicata in: BATINI 1974, p. 140; GALE- AZZI- VALENTINI 1975, p. 68; FIOCCO- GHERARDI 1982, n. 38, p. 117; RAVANELLI GUIDOTTI 1988, Fig. 48.
Piatto Deruta, bottega di Giacomo Mancini (detto El Frate), prima metà del sec. XVI Maiolica Diametro cm 41 Una rottura e una incrinatura Provenienza: collezione privata Si tratta di un grande piatto da pompa, con ampio cavetto, larga tesa ad orlo rilevato e profilato; il piede è ad anello. Al centro del cavetto, campeggia la figura di un cavaliere, che avanza al galoppo verso destra, armato di spada e scudo; due cartigli ai lati del personaggio portano la legenda, divisa in due parti, IO SO ERE CA e RLO MANGNIO, su uno sfondo che ospita anche piccoli fiori; sulla tesa si dispone una de- corazione ad embricazioni, che racchiudono dei trifogli. Il verso è invetriato. Dipinto in blu e lustro dorato. Siamo di fronte ad uno straordinario saggio della maiolica a lustro prodotto a Deruta, uno di quelli che nascono sullo stimolo culturale non solo della grande pittura umbra, ma anche della circolazione delle stampe in fogli sciolti. In particolare nellambito della bottega di Giacomo Mancini fecero presa queste potenti ed esuberanti figure così lontane dai modelli raffaelleschi allora in auge, e pertanto lo sguardo dei pittori maiolicari si posava sia sugli episodi dellepopea cavalleresca, attinti preferibilmente dalle vignette silografiche che corredavano ledizione veneziana dell Orlando Furioso, stampata presso Giolito de Ferrari nel 1542, sia su singoli personaggi. So- prattutto ebbe fortuna la serie dei Nove Prodi, cioè dei più nobili eroi delle tre ere della storia della salvezza indicate da Agostino, tra cui ap- punto Carlo Magno, ma anche, ad esempio, Re Giuda Maccabeo, protagonista di un altro piatto derutese a lustro, del Museo di Faenza1. Questi eroi cavallereschi potevano essere trascritti guardando, ad esempio, fogli tedeschi volanti tirati da antichi legni, secondo alcuni addirittura della fine del 400, che andavano a decorare i pannelli lignei delle pareti e delle ante dei mobili, o ispiravano i soggetti delle stufe di ambito oltremontano; modelli che passarono in riciclo alle stamperie veneziane, ferraresi, milanesi e modenesi, e da questultime sino a quella dei Soliani2, che dal 600 continuò a tirare dalle stesse matrici fino a oltre la metà dell 800. La trascrizione maiolicata è sorprendentemente fedele al modello grafico, del quale tiene conto anche degli emblemi sulle gualdrappe del cavallo e sullo scudo, cioè laquila del Sacro Romano Impero e il giglio, simbolo della regalità di Carlo Magno. Una straordinaria licenza del maiolicaro è invece il dettaglio degli zoccoli delle zampe posteriori dellanimale che, in modo molto originale, escono dal cavetto andando a calcare una par te delle embricazioni. 1 RAVANELLI GUIDOTTI 1988, fig. 45. 2 TOSCHI 1984, fig. 37; Legni incisi della Galleria Estense 1986, p. 9. Bibliografia Lopera è pubblicata in: BATINI 1974, p. 140; GALE- AZZI- VALENTINI 1975, p. 68; FIOCCO- GHERARDI 1982, n. 38, p. 117; RAVANELLI GUIDOTTI 1988, Fig. 48.
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